Quando nacque l ’ inno di Mameli...
L
'atmosfera di Torino nel 1848 si era fatta rovente.
La tranquillità tradizionale ed il monotono ritmo
della vita pubblica torinese, erano lettera morta.
Pareva che la città si fosse ad un tratto destata come
al richiamo di una potente squilla guerriera e che le
anime dei giovani, dei vecchi, delle donne, dei fan
ciulli fossero rinate ad una nuova vita tutta fremiti,
tutta ardore e tutta amor patrio.
Non passava giorno senza che la popolazione
scendesse in piazza per fare dimostrazioni, ora di
gioia, ora di minaccia.
Appena si era a conoscenza di un nuovo fatto
importante accaduto in altre regioni, la voce correva
da un capo all'altro della città e subito si formavano
assembramenti. Ai primi di gennaio, quando gli
Austriaci inveirono e incrudelirono contro i Milanesi,
Torino ebbe un fremito di riscossa; quando si seppe
dell’insurrezione di Palermo e Catania, gli animi si
accesero, ed allorché Napoli e Firenze ottennero la
concessione dello Statuto rappresentativo, si svi
luppò un vero e serio fermento popolare. La Costi
tuzione ottenuta da Napoli e dalla Toscana doveva
essere concessa anche al Piemonte.
Ogni giorno una fitta turba di dimostranti a cui
si univano e ricchi e poveri senza distinzione, si
adunavano innanzi al palazzo Reale gridando: «Vo
gliamo lo Statuto!» e «Viva il Re!». Carlo Alberto
indugiava, rimandava! era perplesso; però quando
il Consiglio Municipale, dopo un vibrante discorso
di Pietro di Santa Rosa decise di inviare due sindaci
dal Re per esternargli il desiderio del popolo, Carlo
Alberto concesse un'udienza che ebbe luogo al 7 di
febbraio.
Quel giorno la folla
si
era adunata in massa sulla
piazza,
e siccome Carlo Alberto aveva dichiarato che
se ci
fossero state grida o avvenuti tumulti avrebbe
chiuse le porte della reggia ai delegati municipali,
la
folla taceva. Quando la carrozza dei sindaci passò,
c’era intorno un’atmosfera di minaccia, c’era nel
l’aria qualcosa di cupo, un’aspettazione che impau
riva. Per tutto il tempo dell'udienza, la piazza non
fu
che un ansito, le anime in una spasmodica attesa
erano protese verso la reggia e il silenzio era cupo
e
profondo. La carrozza ritornava. Tutti si accal
cavano per sapere; ma dietro i cristalli il volto pal
lido dei due sindaci erano impenetrabili. II Re aveva
semplicemente presa in considerazione la richiesta.
dichiarando di meditarla; non una promessa, non
una speranza di lontana certezza.
La popolazione torinese non si scoraggiò, tenace,
testarda, seguitò per tutta la giornata e durante la
sera e la mattina dell’8 febbraio a protestare agglo
merata sulla piazza malgrado i soldati che la respin
gevano, i birri che la cacciavano.
Verso le cinque del pomeriggio da un capo al
l’altro di Torino si propalò la notizia: Carlo Alberto
ha concesso lo Statuto!
Il proclama che I annunci
affìsso in ogni
angolo, tappezzò tutta Torino.
Giovani, vecchi, ricchi e poveri cantando inni,
gridando, benedicendo portavano in giro issato su
una pertica il proclama; era una gioia senza limiti
che commoveva e strappava le lacrime.
Il «Te Deum», cantato nella chiesa della Gran
Madre di Dio nel giorno 22 febbraio, adunò a Torino
le rappresentanze di tutte le popolazioni del Regno.
Tanta era la folla che la Piazza della Gran Madre e
Piazza Vittorio Emanuele non bastavano a contenerla
e dilagava in Via Po, e riboccava sotto i portici.
A mezzogiorno, Carlo Alberto con un brillante corteo
passò in Via Po e attraversò Piazza Vittorio per re
carsi alla funzione. L’entusiasmo del popolo non aveva
limiti; era una tempesta, un delirio e in mezzo a
questa tempesta, a quest'ardore senza freno, il Re
dai lineamenti severi, pensoso, mesto ed impassi
bile, attraversò la piazza gremita e si diresse alla
Chiesa, mandando il cavallo a passo lento e volgendo
il capo ora a destra, ora a sinistra in segno di ringra
ziamento.
Dall’alto della gradinata il sacerdote benedì il
popolo e il Re che rimase in arcioni e curvò il capo
scoperto con devozione.
Le campane cantavano a gloria e il cannone tuo
nava dal Monte dei Cappuccini.
Poi Carlo Alberto col suo corteo si diresse verso
Piazza Castello e lo seguivano la.regina Maria Teresa,
la Duchessa Maria Adelaide e in mezzoalle due elette
e auguste donne, Maria Clotilde di 5anni e Umberto
di quattro, figli di Vittorio Emanuele. Il Re si fermò
sotto la loggia e. fra un’ordinata e ben disposta fila
di baionette dell’esercito nazionale, un fiume di
folla si riversò per passareavanti al Re. Carlo Alberto
salutava inclinando leggermente il capo colla rigi
dità di un automa.