Table of Contents Table of Contents
Previous Page  1052 / 1769 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 1052 / 1769 Next Page
Page Background

QUANDO NACQUE L'INNO Di MAMELI..

Ecco gli studenti cogli ampi calzoni che scende­

vano fino ai piedi, colla tunichetta serrata ai fianchi

da una cintura di cuoio chiusa da una grossa fibbia

d'acciaio, col sarrocchino e il cappello a larga tesa

ornato d'una penna che scivolava all'indietro; ecco i

Valdesi nel loro costume montanaro che gridano al

Re la loro devozione e la loro fede per averli eman­

cipati; ecco i Lombardi scampati dalle grinfe della

polizia austriaca che apprestava loro le carceri della

Moravia.

Carlo Alberto quando sfilano pallidi, mesti, cogli

occhi pieni di lagrime il cappello abbassato, ha

una contrazione sul volto triste; i suoi occhi, che

non lasciano indovinare i moti del cuore, si fanno

più cupi e ad un tratto, con un impulso che gli

viene dall’anima, si toglie il cappello e rimane a

testa nuda al cospetto di quegli uomini che per la

patria erano pronti a sfidare con un sorriso il mar­

tirio.

Ancora non era finita la sfilata che pervenne a

Torino la notizia che a Parigi era scoppiata la rivo­

luzione e Luigi Filippo era in fuga colla sua famiglia

ed era stata proclamata la repubblica. Per quanto

giungesse inattesa ed in un momento non molto

opportuno, perchè poteva scemare l'audacia del Re

che intendeva di assalire l’Austria, e non desiderava

certo di avere alle spalle un focolare di rivolta, tut­

tavia non turbò per nulla gli animi entusiasmati e

sereni.

Alla sera vi fu una grande luminaria e non mancò

neppure la mascherata raffigurante il carroccio coi

vincitori del Barbarossa osannanti e tripudianti.

Erano tempi in cui ogni notizia, ogni insurrezione

accendevano l’anima del popolo irrequieto e turbo­

lento e ancora non era finita e chiusa la pendenza

della Costituzione che subito appariva a turbare la

serenità la cacciata dei gesuiti dalla Sardegna. Dopo

la Sardegna, la Liguria che li riversava a Torino, e

finalmente Torino che se li scuoteva di dosso e li

cacciava all’estero.

Sorse in quell’ora la milizia urbana volontaria coi

fucili vecchi a pietra focaia e le gibernacce a tracolla,

e per due notti quei bravi improvvisati militi pro­

tessero i gesuiti dal furore popolare.

Al 6 marzo, in cui usci finalmente il decreto che

bandiva la famosa Compagnia da tutti gli Stati del

Re di Sardegna, a significare la gioia per la Costitu­

zione

e.la

soddisfazione per la liberazione dalla setta

gesuitica, sorse bella, luminosa e fremente la musica

fatidica dell'/nno di Mameli.

Una sera nel Caffè Calosso, che dopo le Riforme

prese il nome di Caffè della Lega Italiana, entrò rag­

giante Michele Novaro, secondo tenore e maestro

dei cori del Teatro Regio e del Carignano che erano

gestiti da una medesima impresa. Egli abitava al terzo

piano in una casa di via Roma a sinistra di chi viene

da Piazza Castello. Non aveva che una sola camera;

ma abbastanza vasta per dar ricetto quando gli pia­

cesse ad uno stuolo di amici allegri e buontemponi.

Era un po' disordinata, perchè il proprietario non

se ne curava molto; ma era fornita di un buon piano­

forte per rallegrare le ore notturne e di buone bot­

tiglie in quantità forse maggiore degli spartiti musi­

cali che stavano alla rinfusa in uno scaffale vecchio

e tarlato.

Il Novaro era un ardente patriota, affezionato a

Torino e ai Torinesi e contava nella città moltissimi

amici per quel suo fare rude da buon genovese, e

per la maniera di spifferare le barzellette quando i

cori non avevano troppo stonato durante le prove.

Nel caffè cerano dieci o dodici dei clienti soliti,

intenti, parte a bere certe mezze bottiglie di un

vino generoso, specialità dei Calosso, parte a giocare

a tarocchi. Quando entrò Novaro col suo passo ber­

saglieresco, tutti notarono che aveva gli occhi sfol­

goranti e che pareva trasfigurato in volto da un'in­

tima soddisfazione.

Infatti, con voce concitata gridò:

— Amici, ho scritto la musica dell'inno di Mameli!

Volete sentirla?

Tutti si alzarono e un applauso vivo, irrompente,

salutò le sue parole.

— Venite a casa mia!

— Tutti?! — si gridò.

— Tutti e anche tutta Torino, se ci sta!

Non esitarono a seguirlo.

Allorché Novaro aprì l'uscio della sua camera, una

dozzina fra giovani e vecchi vi fecero rumorosamente

irruzione, impazienti di sentire come egli avesse

rivestito di melodia le parole frementi d’amor patrio

sgorgate dal cuore di Goffredo Mameli.

Egli accese quante lucerne e candele aveva per

la camera e le depose un po’ dappertutto; sul cami­

netto, sul canterano, sul tavolo, sul pianoforte, poi

scoprì la tastiera, mise sul leggìo un foglio di musica

gettata giù in furia e fretta; ma prima di mettersi a

sedere volle spiegare ai suoi ascoltatori e giudici,

l’idea che gli ispirò la melodia trascritta di colpo

quasi, senza sussidio di pianoforte.

— Mi pareva di essere in una gran pianura che

non aveva confine, e in fondo, su un arco luminoso

che pareva oscillare fra la terra ed il cielo, vedevo

un trono sul quale sedeva nei suoi magnifici palu­

damenti Pio IX. Intorno al trono c'era una gran

turba di re, di principi, di guerrieri, di altri prelati

e nella pianura si stipava un’immensa moltitudine.

Era la popolazione di tutta la penisola convocata dal

papa. Migliaia e migliaia di occhi si fissavano sul Pon­

tefice e nel silenzio profondo la voce di Pio IX lim­

pida, chiara, risuonò: «L'Italia si è destata, l'Italia

riprende la suagloriosa strada, e anela alla vittoria! ».

La folla s'agita, tutti si guardano, s’interrogano; le

parole del Pontefice hanno riscosso le anime, la turba

è cbme un mare in tempesta.

« Bisogna combattere e vincere » dicono tutti,

«ebbene si combatta, stringiamo in coorte, siam

pronti alla morte. l'Italia chiamò». Se lo ripetono,

se lo rimandano, si esaltano, è un crescendo incal­

zante che sbotta in un grido supremo trasformato

in giuramento e urlo di guerra.