Appena un mese dopo il suo arrivo nello Scioa,
il capitano Martini, dietro preghiera, che in quelle
circostanze era un ordine, di Menelik, che aveva
un assoluto bisogno di armi e munizioni, partiva
nuovamente per l'Italia: ai primi di marzo 1878 era
a Roma con ricchi doni e lettere per Sua Maestà,
per il Santo Padre, per i Ministri e per la Società
Geografica. In tutte le trattative per questa seconda
spedizione Martini, il Massaia è sempre il consigliere
ascoltato e autorevole della Spedizione italiana. Così
cominciò, anche per l'Italia, quella politica che il
Traversi chiamò del commercio delle armi, politica
in ultimo tanto funesta per noi, e funesta sempre
per le potenze coloniali. Essa ebbe il massimo suo
sviluppo quando il conte Pietro Antonelli assunse
la rappresentanza degli interessi italiani nell'Etiopia.
Intanto l'imperatore Giovanni si mostrava sempre
più ostile a Menelik, l'unico sovrano etiopico che
non si fosse ancora umiliato dinanzi a lui. Menelik
tastò il terreno per un'intesa; ma la risposta fu scon
fortante. « lo sono re cristiano - scriveva Giovanni -
e debbo considerare te come eretico,
poiché a capo
del tuo clero ponesti un vescovo di Roma. Come prima
condizione t'impongo di consegnarmi Massaia...».
A
questa, e alle altre esorbitanti richieste dell'lmpera-
tore, Menelik risponde con un fiero appello al suo
popolo.
Menelik, però, comprese che, in quel momento,
non gli era possibile resistere alle forze preponde
ranti di Giovanni, e il 20 marzo 1879 accettò i patti
impostigli. Il primo era di non portare più il titolo
di negus neghest (re dei re), ma solo quello di
negus (re) dello Scioa; il secondo imponeva che la
religione dello Scioa sarebbe stata quelladeH'Impero.
Senza che venisse detto apertamente, la fine della
missione cattolica nello Scioa era segnata.
Conclusa la pace, Menelik scrisse a mons. Massaia
che l'imperatore voleva vederlo. Il buon vescovo
accorse: non fu ricevuto che dopo lunghe attese ed
umiliazioni, e poi, dopo poche parole, bruscamente
congedato. Ma questo non era che il primo segno
della tempesta, che si addensava sul capo del vene
rando Vescovo. Al principio del 1879 l'imperatore
scrisse a Menelik di mandargli il nostro Missionario
e i suoi fratelli, perchè voleva consultarli, e, forse,
inviarli in Europa per affari importantissimi riguar
danti il suo regno. Il Massaia, con l'animo straziato,
ben prevedendo quanto doveva succedere, si recò
a salutare Menelik, quindi prese la via di Debra
Tabor, ove giunse sfinito e ammalato. L'Imperatore
lo trattò come un lebbroso, esponendolo a tutti gli
schemi della plebaglia e alte più gravi umiliazioni.
Erano allora in Debra Tabor i fratelli Naretti e
Gustavo Bianchi. Nessuno di essi
presso l'imperatore in favore del
nazionale. Il Bianchi
Dopo essere stato due mesi fra la vita e la morte
per le febbri che lo avevano assalito, il Massaia fu
accompagnato alla frontiera per la via di Metemma,
infestata di predoni, colla segreta speranza, forse,
che quella strada potesse riuscire fatale all’eroico
missionario. Ma era volontà di Dio che, dopo tanti
«.nni di apostolato, di fatiche e di sofferenze, il Mas
saia godesse di un meritato riposo, circondato dal
l’affetto de' suoi confratelli e dalla più alta conside
razione di tutto il mondo civile. Il suo nome nella
storia della Chiesa e nella storia dell'Italia risplende,
e risplenderà sempre, di luce vivissima. Il Massaia
è una delle più belle glorie del nostro Piemonte cat
tolico e sabaudo.
DUE ARTIG IAN I: I FRATELLI NARETTI
Quasi tutti i viaggiatori, italiani e stranieri, che,
negli ultimi decenni del secolo scorso, percorsero i
territori etiopici, ebbero mot1" J: "^oscere e spesso
di usufruire degli aiuti e Oc. culligli dei fratelli
Naretti di Colleretto Parella (Pedanea): Giovanni
Giacomo, nato il 29 agosto 1831, e Giuseppe, che
vide la luce il 4 giugno 1839. I loro genitori erano
contadini; ma Giovanni imparò il mestiere di fale
gname, che esercitò dapprima in patria, poi a Mar
siglia e in Alessandria d'Egitto.
Nel 1870, attratto da quel desiderio di fortuna,
che spinse tanti Italiani per le vie del mondo, accettò
di far parte di una spedizione di falegnami e di fabbri
ferrai, organizzata da una sedicente missione abissina
inviata nell'Egitto dal negus Giovanni. Questi lavo
ratori, giunti nell’Abissinia, ben presto si accorsero
di essere stati ingannati, e presero tutti la via del
ritorno, ad eccezione del piemontese Giovanni Na
retti. il quale co' suoi lavori in legno era riuscito i
ad acquistarsi la simpatia del Negus, che risiedeva
allora a Debra Tabor.
Il bravo falegname piemontese, dotato di scarsa
coltura, e senza grandi pretese, ben presto si era
adattato al nuovo ambiente in cui era venuto a tro
varsi, e. pieno di ammirazione per le imprese guer
resche del negus Giovanni, lo servì fedelmente,
umilmente, come artigiano, e qualche volta anche
come consigliere.
A Debra Tabor
meticcia, di nome
una abissina:
fimo,
I PIONIERI PIEMONTESI NELL'AFRICA ORIENTALE