I PIONIERI PIEMONTESI NELL'AFRICA ORIENTALE
tore. « Santa - conclude il Franzoi - fu la vita del
marchese, che egli consacrò non solo alla gloria della
scienza, ma eziandio al culto delle più gentili virtù
civili e domestiche, nelle quali fu costantemente
maestro ed esempio. L’Italia faccia il debito suo,
onorando chi l'ha in tanto modo onorata... » (25).
Leopoldo Traversi, ultimo superstite della glo
riosa schiera dei pionieri italiani nell'Africa Orientale,
nel suo interessantissimo volume su Let-Marefià,
pubblicò finalmente la lettera del Franzoi al Presi
dente della Società Geografica, e, con ragione, il
Traversi chiama «meravigliosa» questa lettera, «la
più bella di quante se ne conoscono e la più nobile.
Sotto un aspetto rude e violento il Franzoi nascon
deva un cuore buono e generoso» (26).
Da Let-Marefià il Franzoi andò ad Ankober, l’an
tica capitale dello Scioa, ove pochi giorni dopo giunse
il conte Antonelli, rappresentante ufficiale dell’Italia,
accolto, per ordine di Menelik, con grandi onori.
Il conte Antonelli offrì larghi soccorsi in denaro al
Franzoi, il quale era allora ancora in possesso di ben
due talleri, circa 9 lire; ma egli non volle accettare
l'aiuto dell’Antonelli che «nella piccola esigenza de’
suoi bisogni ». In quei giorni Menelik organizzava
una spedizione contro i Galla Ittus. Il dott. Alfieri
e Augusto Franzoi ottennero di poter seguire l'eser
cito scioano, e così il Franzoi ci potè descrivere in
pagine, piene d'interesse, i metodi con cui Menelik
riuscì ad estendere il dominio dell'Etiopia sino agli
attuali confini. «Quanti orrori lungo la via! Villaggi
in fiamme o saccheggiati, morti dappertutto o meglio
dappertutto assassinati. Qua e là s'inseguivano donne
e bambini. S'inseguivano per trarli in schiavitù».
Intanto Augusto Franzoi aveva formato il pro
getto di spingersi, attraverso i regni di Limmu,
Gimma e Gomma, sino al regno di Ghera, allo scopo
di esumarvi il cadavere di Giovanni Chiarini, morto
il 5 ottobre 1879 per le infinite sofferenze, che aveva
dovuto sopportare nel viaggio verso Ghera, e poi
in questo stesso paese. Come è noto, l'ardita impresa
dell'audace e tenace figlio del forte Piemonte riuscì
perfettamente, ed il 26 novembre 1884 Augusto
Franzoi, presenti tutte le autorità cittadine, il capi
tano Cecchi, compagno di prigionìa del Chiarini, i
rappresentanti della Società Geografica Italiana e della
Società Africana di Napoli, ecc., consegnava al Sin
daco di Chieti i resti del valoroso esploratore, perchè
riposassero nella terra natia.
Il viaggio di ritorno da Ghera ad Antoto è molto
rapidamente descritto dal Franzoi; e qui il Franzoi
chiude il suo brillante racconto, non prima di aver
rivolto un sincero ringraziamento a Menelik, che non
ha mai prestato fede alie calunnie lanciategli dai
nemici, e all’ing. Alfredo llg, che usò sempre, a prò
del buon diritto, tutta l’influenza che egli meritata-
mente godeva alla corte di Menelik di cui era grande
amico. Menelik a un tale che gli aveva detto essere
Franzoi un avventuriero fuggito da un bagno penale
d’Italia, rispondeva: «Non importa: è un italiano
come te e lo amo. perchè tu stesso mi hai detto, ed
il tuo re mi ha scritto, che gl’italiani sono buoni e
coraggiosi tutti quanti ».
Ritornato in Italia il Franzoi pubblicò, come ab
biamo detto, il suo volume
Continente Nero;
ma sùbito
pensò a un nuovo viaggio nei paesi situati a mezzodì
dell'Abissinia. Infatti egli dedica il volume: - Alla
santa memoria - di mia Madre - perchè vegli alla
fortuna - del mio prossimo periglioso viaggio -
A mio Padre - perchè lo accompagni coi voti - del
suo affetto -. Dice il nostro maestro, prof. Cosimo
Bertacchi, che egli stesso accompagnò il Franzoi al
Senato per trattare col Carducci il modo di un in
contro col Presidente del Consiglio, Francesco Crispi.
Tutto pareva bene avviato, quando un triste inci
dente, dovuto ad uno di quei colpi di testa, che erano
purtroppo frequenti nel Franzoi, determinò il falli
mento di ogni combinazione» (27).
Ma non rimase molto in Italia: nel 1886è di nuovo
nell'Africa Orientale, e il 20 giugno manda da Ta-
giura una corrispondenza alla
Gazzetta Piemontese.
Non sappiamo quali fossero gli scopi di questo nuovo
viaggio, e nemmeno sappiamo sino a quale località
egli sia arrivato. Prima di partire per questo viaggio
fu a Roma, ove ebbe un colloquio con B. Cairoti :
ho tra le mani un piccolo ritratto del Cairoti con
dedicaal Franzoi (« Al benemeritocittadinoA. Franzoi
coi più affettuosi auguri. B. Cairoli ») e la data:
Roma, 27 aprile 1886.
Ben poco sappiamo delle vicende del Franzoi negli
anni seguenti. Continuò a collaborare in parecchi
giornali fra cui la
Gazzetta Piemontese
di Torino e il
Messoggero di Roma, e si mantenne sempre i* ami
chevoli relazioni con l'ing. llg e con la sua famiglia,
che risiedeva a Zurigo.
Scoppiata la guerra italo-abissina del 1895-96,
Augusto Franzoi sentì il bisogno di mettere a dispo
sizionedel suo paese la conoscenzache nel suo viaggio
aveva acquistato di cose e di uomini dell'Abissinia.
Come è noto, Francesco Crispi, allora capo del Go
verno italiano, era impressionato della indecisione,
nel chiedere rinforzi, del gen Baratieri, il quale aveva
telegrafato: « Non posso determinare quali truppe
possono occorrere, non conoscendo intenzioni inva
sore ». Il Crispi rispose al generale:
Il momento è critico per te e per noi. Ti abbiamo mandato
e mandiamo più di quanto hai domandato. Se per insufficienza di
mezzi o per imprevidenza avvengono danni, la colpa non è nostra.
Il Paese è pronto a vendicare le vittime del 7 dicembre ed a tenere
saldo il prestigio della nostra bandiera.
Tu chiedi nuovi rinforzi senza specificare, aspettando all'uopo
che la situazione sia delineata.
Le distanze dall'Italia a Massaua e da Massaua all’Abissinia sono
tali che giova
saper prevedere
il bisogno.
Spiegati subito, ci va deU'onor tuo e dell'onore dell’Italia.
Pare che nella tua mente ci sia confusione ed incertezza: è tempo
di provvedere.
Mentre il Crispi invocava dal Baratieri notizie più
precise sulle intenzioni di Menelik, e quindi sui rin
forzi militari da inviare in Africa, Augusto Franzoi
si offriva di parlare con l’ing. llg. che ben doveva