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I PIONIERI PIEMONTESI NELL'AFRICA ORIENTALE

difensore di Lugh, quasi come suo nemico personale.

E il Governo di Roma (tristi tempi!) accontentò il

Negus: Ugo Ferrandi non fu, allora, nominato resi­

dente di Lugh.

Ma la sua opera tornò utilissima nella residenza

di Bardera, ove il cattivo contegno di qualche nostro

residente, e le mene del Mad Mullah avevano creato

una situazione difficilissima (1905). Il Ferrandi, dopo

una breve missione a Itala e ad Uarsceik per esami­

nare le condizioni di quelle stazioni, ritornato a

Mogadiscio cominciò a organizzare la carovana per

la residenza di Bardera. L’organizzazione fu comple­

tata a Brava e sul finire dell'anno egli entrava in

Bardera, accolto con dimostrazioni di simpatia, come

un vecchio amico, da quelle popolazioni che già lo

avevano conosciuto e ne sapevano l’energia e la riso­

lutezza, insieme alla grande equanimità e rettitudine

dell'animo. Cessarono gli atti di ribellione contro

gli Italiani, furonotroncate le relazioni col MadMullah,

e in meno di tre anni, sotto il governo di Ferrandi,

la stazione di Bardera non solo potè dirsi compieta-

mente pacificata, in modo da non dare più preoccu­

pazioni al Governo, ma fu trasformata in una plaga

ben coltivata e pacificamente produttiva.

Nel 1908è ancora a Bardera, ove prende l'inizia­

tiva di un’azione contro gli Agiuran, che avevano

fatto una razzia nel territorio degli Elai. Il Ferrandi

con la spedizione raggiunge Giuvare, e poi, percor­

rendo 74 km. in un territorio del tutto privo di

acqua, si spinge sino al descek di Rendide, ove scon­

figge gli Agiurian. Il 29 la spedizione mosse su Du-

giuma, avendo il Ferrandi ritenuto opportuno sfa­

tare la leggenda che gl'infedeli non avrebbero mai

potuto prendere questa località, perchè, per inter­

vento divino, i proiettili dei loro fucili si sarebbero

mutati in acqua. Gli Agiurian furono di nuovo scon­

fitti e Dugiuma data alle fiamme.

Dal Governatore De Martino, col quale la Somalia

italiana entrò in una nuova fase di tranquillità e di

progresso, il capitano Ferrandi fu nominato (31 luglio

1910) commissario regionale dell'Alto Giuba con

residenza a Lugh. Così Ugo Ferrandi, dopo parecchi

anni, tornava ad amministrare questa località ch'egli

profondamente conosceva, e che aveva saputo col

suo valore, in un momento quanto mai critico, con­

servare all'Italia.

Ma la carriera coloniale del Ferrandi non era

ancora finita: altri servigi notevolissimi egli doveva

prestare al suo paese in queste lontane terre. Nel

1913 il Ministero delle Colonie, per rendere più

effettivo il dominio italiano nella Somalia settentrio­

nale, deliberava di crearvi un Commissariato civile

con sede a Obbia. Il primo Commissario civile di

Obbia e del sultanato dei Migiurtini fu il nostro

Ferrandi. Egli aveva già 62 anni; forse era già stanco

per quasi cinque lustri di vita coloniale; ma, quando

vi era un posto difficile e pieno di responsabilità da

occupare, non si poteva dal Governo che pensare a

lui. ed egli, da bravo italiano, non poteva die rispon­

dere: «presente!».

Il

Ferrandi sbarcò dal «Piemonte» in Alula nel

gennaio 1914 con una scorta di pochi ascari; fece

costruire una degna sede della residenza, ed iniziò

subito il necessario lavorìo diplomatico per assuefare

quei notabili alla permanenza di un rappresentante

dell'Italia. L'impresa non fu facile. L'istituzione del

Commissariato in Alula, località appartenente al sul­

tano di Obbia, suscitò diffidenze e gelosie nel sultano

dei Migiurtini, Osman Mahmud, il quale indusse un

gruppo di abitanti di Alula a mostrarsi ostile all’auto­

rità del R. Commissario: ma questa resistenza fu

validamente e bravamente superata da Ugo Fer­

randi (36).

Rimase ancora per qualche tempo in Africa, poi

rientrò in patria. Ma la febbre africana lo divorò

sempre, e gli fece sembrare troppo ristretto l'oriz­

zonte della sua Novara. Volle rivedere la sua Africa,

quando l’Italia, rinata a nuova vita, stava finalmente

compiendo nella Somalia e nelle altre sue colonie

quell'opera di civiltà ch’egli aveva sempre sognato

e di cui era stato uno dei primi ♦»niù tenaci pionieri.

Il Chiesi giudicò il Ferrai....... ^

modesto, ma

certo anche il più pratico, sagace ed umano dei

nostri viaggiatori africani »; e lo indicò come maestro

di vita coloniale ai giovani, i quali «seguendone

l’orma sicura, studiandone l’opera, sapranno imitare

i mirabili esempi di costanza, di pertinacia, di abne­

gazione, di sentimento del dovere e della responsa­

bilità, di valore personale e di modestia, che egli

seppe dare: senza perdere mai di vista l’ideale su­

premodella suavita, che fu sempre di rendere grande

e temuto il nome d’Italia, in questa grande e beila

parte dell'Africa ancora chiusa alla vita civile» (37).

IL CONTE ENRICO BAUDI DI VESHE

ESPLORA L’OGADEN

Parlo per ultimo del conte Enrico Baudi di Vesme

e de' suoi viaggi nella Somalia, non perchè l'opera

sua sia stata di minore importanza di quella degli

altri pionieri piemontesi nell'Africa Orientale, ma

solo perchè di questi è l'ultimo scomparso, essendo

mancato il 22 marzo 1930 a Torino, ov'era nato il

21 novembre 1857.

Apparteneva a una nobile famiglia in cui sempre

viva*u latradizionedegii studi edellearmi. Suopadre,

il conte Carlo Baudi di Vesme. fu uno dei fondatori,

per ordine del re Carlo Alberto, della R. Deputa­

zione di Storia Patria, editore dotto e apprezzato

delle leggi e degli editti dei re longobardi (il Nei-

gebaur li ristampò a Monaco nel 1836), autore di

importanti studi sulle vicende della proprietà in

Italia, sui tributi delle Gallie negli ultimi tempi dal­

l'impero romano, sull'industria delie miniere di Villa

della Chiesa (Igksias), eoe. A un amico di Cagliari

scriveva, poco prima di morire: «

Sapete

coma

tono

tato io, che, quando mi

trovo dover

fere una

casa,

non

sto a guardare se io sta

par

soffrire

o no dada

saluto; sa

non jin trovo naNa imponibilità assoluta*