L'EPOPEA GARIBALDINA NEI GIORNALI UMORISTICI
di alto compiacimento. Perciò la matita di Teia lo
coglie in un giorno di marzo mentre sventola una
bandiera con lo storico motto in faccia a Mazzini che
ne agita un'altra su cui si legge: •• Dio e Popolo ” ,
mentre la scena è irradiata dai primi raggi che spun
tano del sole dell'avvenire.
Durante la guerra il
Fischietto
stampò di frequente
il ritratto del generale Garibaldi e carte militari per
seguirne le gloriose gesta. Egli appare già come folgore
di guerra, dall'occhio acuto, dal coraggio leonino.
Dopo Villafranca gli animi sono smarriti: le armi
giacciono a terra quasi umiliate, la diplomazia ordisce
faticosamente la tela, ma Garibaldi appare in veste
leonina. É tempo di volpi e di lupi. Ma in un profe
tico disegno del Redenti il leone sonnecchia. Attende
vigile la primavera per balzare alla riscossa.
Il ricordo di Villafranca brucia sempre i cuori.
Il ministero Rattazzi-Dabormida non persuade il gior
nale, che sotto il riso brontola. Pel
Fischietto,
il
Dabormida nel dirigere la politica estera non arriva
alle ginocchia di Cavour. La caricatura scaraventa
fulmini contro Don Margotti che nella sua
Armonia
sputa veleno, e lascia trasparire tutta la sua gioia
quando Cavour torna al potere. L'orizzonte si ras
serena. ma presto si oscura di nuovo. Questi alti e
bassi della temperatura politica sono ben riflessi nelle
caricature. L'annessione dell'Italia centrale è pagata
a caro prezzo. Il leone di Caprera rugge di dolore
pel sacrificio della suacittà natale. Accigliato, furente,
prende Cavour per le orecchie e additandogli il cada
vere di una donna pugnalata, simboleggiante Nizza, gli
chiede:
Camillo, fratello snaturato, che hai tu fatto
dell'infelice tua sorella? Rispondi!
E Camillo diploma
ticamente risponde che non risponde nulla. Qualche
giorno dopo Garibaldi in una partita di boxe tenta di
atterrare Cavour. Ma il lottatore di forza non riesce
a far toccare terra al giuocatore di destrezza.
Siamo all'epopea di Maggio. Per qualche giorno
l ’umorismo del
Fischietto
pare intorpidito. Ma il IO
maggio, quando le prime voci del colpo di testa gari
baldino sono già diffuse, avventa i primi strali. Si
iniziano nel testo le tribolazioni di un diplomatico.
Il Canofari, ministro borbonico a Torino, corre dal
Farini a chiedere notizie di Garibaldi: ma Farini fa
il nesci? Canofari telegrafa a Genova chiedendo di
Garibaldi: gli si risponde in modo sibillino, che a
Genova LGaribaldi sono innumerevoli. Disperato va
al circolo dei diplomatici, ma trova voci discordi;
chi lo vuole partito per la Capraia, chi lo dice a
Nizza in casa Deidery, chi l'ha visto passeggiare a
Genova in via Carlo Felice, chi l'ha visto passeggiare
sotto i portici di via Po a Torino.
Il 15 maggio Redenti illustra con gusto il pro
verbio: “ Chi se la piglia col diavolo finisce col restare