L'EPOPEA GARIBALDINA NEI GIORNALI UMORISTICI
nuovi destini italici; le
vittorie di Solferino e
di San Martino oscu
rate dal ribaltamento
di Villafranca; Cavour
che
nel ’60 sale sopra
una
locomotiva nuova
e,
aiutato da Farini
e
da Ricasoli, avvia
il convoglio sulla via
Emilia mentre Gari
baldi con voli pindarici
10 precede a salti. Poi
i nuovi ribaltamenti a
Torino per la Conven
zione di settembre ed
a Mentana finché Ca
dorna rompe il cerchio
fatato del jamais di
Rouher. Lanza, munito
della classica siringa,
sopra il cavallo di Mar
coAurelio prende pos
sesso del Campidoglio
mentre dietro a lui,
Sella, ministro delle fi
nanze, studia il modo
di raffreddare l ’entu
siasmo mettendo le
mani nella scarsella dei contribuenti. Schiettamente
garibaldino fu il giornale napoletano l'Arlecchino,
che, caduti i Borboni, ebbe sfogo nel gettare il ri
dicolo sulla monarchia spodestata e nell'esaltazione
dei liberali. Era diretto da Filippo Delfico, ingegno
versatile, che affidò alla matita felicissima trovate
assai spiritose. A questo suo giornale consacrò in
gegno, tempo e denaro; rovinatosi per tale passione
fu costretto ad accogliere le proposte del celebre
giornale umorista inglese il Punch ed a Londra con
quistò allori. Molte tavole dell 'Arlecchino sono dedi
cate a Garibaldi (I).
L'eroe anche a Napoli ha affascinato molti cuori
ed ha portato nell'ambiente un soffio di vita nuova.
1 Delfico rappresenta questo rinnovamento in una
indovinata allegoria intitolata Mondo vecchio e mondo
nuovo. Mentre gli uomini nuovi, i garibaldini, salgono
trionfanti una scala ed il caricaturista sventola il
nuovo vessillo, gli uomini dell'antico regime, trave
stiti in bestie, capitombolano neil'acqua.
In altra felice caricatura Garibaldi colla chitarra
fa la serenata a Venezia che incarcerata è piangente.
In una serie di tavole Garibaldi raffigura Ercole che
munito della clava compie le dodici fatiche abbattendo
i vart nemici; borbonici, papalini, gesuiti, briganti,
austriaci; e nell'ultima sua fatica libera Teseo (l'Italia)
ed incatena Cerbero (l'Austria).
Un Arlecchino umorista visse anche a Firenze.
Nato il 12 agosto 1859 morì l 'I l ottobre 18(1. per
(I)
Il nostro
M
uko
ho
esposte nella saletta delle caricature le
P*ù caratteristiche.
rinascere nel 1868. Mescolò il serio al faceto, ma nei
suoi giudizi fu libero e schietto. A Garibaldi diede i
suoi maggiori e migliori palpiti e ne scrisse sempre
glorificandolo. Il classico stivale personificante l'Italia
fornì alle suecaricature lepidi argomenti. Nella '• Scala
di Giacobbe " , Garibaldi spunta fuori da un grande
stivale sventolando la bandiera tricolore e snudando
la spada. Vittorio Emanuele sonnecchia, ma un motto
avverte: " lo dormo ma il pensiero veglia ” . Il Papa e
il re di Napoli agitando una bandiera che porta
scritto " Riforme " salgono sulla scala che si appoggia
allo stivale. I versi del Giusti spiegano l'allegoria:
*' Non temete, lo stivale. Non può mettersi in gambale.
Dorme il calzolaio " .In altra caricatura Garibaldi trae
fuori dallo stivale colle tenaglie il re di Napoli vestito
da
Pulcinella,
mentre un prete gli grida: ■* Fratello
Cecco, dai le riforme o siamo tu tti morti ” . E Cecco:
" Non aggio più tempo: finito me cce sei tu " .
Nella primavera del 1861 i giornali umoristici si
trovarono a disagio di fronte agli a ttriti tra cavou-
riani e garibaldini. In Parlamento, per la questione
dell'esercito meridionale, corsero parole grosse tra
Fanti e Sirtori. Drammatica fu la seduta del 18 aprile
in cui Garibaldi mosse aspre accuse contro Cavour,
che scattò in difesa della sua politica. Tra i due sorse
Bixio, che con nobilissimi ed inspirati accenti in
nome
della concordia e nel nome di Dio invocò che si po
nesse l'Italia al disopra dei pa rtiti. In questi gravi
momenti i giornali umorìstici non possono rìdere,
ma
compiono nobilmente
la
loro
missione educativa:
hanno buone parole per la
pace e per la concordia.