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L A L O T T A

S E N Z A A R M A T I

G I O V A N N I A D E L C H I

Così può essere chiamata la lotta sostenuta

oltre tre secoli or sono (1630-31) dal Piemonte

contro due flagelli, la peste e la carestia, che ne

decimarono la popolazione distruggendo quella flo­

ridezza che aveva contrassegnata, nonostante le

frequenti guerre, la vita del Ducato nel principio

del xvu secolo.

Sarebbe troppo lungo fare qui una descrizione

del Piemonte quale era prima che venisse colpito

dai « flagelli principali che suole mandare Iddio

quando vuole castigare tutto un popolo » come

scrisse il frate contemporaneo Francesco Voersio

di Cherasco, ma tuttavia qualche indicazione non

sarà superflua.

Con una popolazione complessiva di 700 mila

abitanti il Piemonte era in quei tempi diviso in

quattordici province, comprese quelle ultimamente

costituite di Alba e di Trino dovute all'annessione

di settantaquattro terre del Monferrato.

Duecentomila abitanti vivevano sparsi per la

campagna, ma la maggior parte risiedeva nelle

città e nei borghi assai numerosi e notevoli. To­

rino, la capitale, contava allora 36 mila abitanti

seguita da Asti, Vercelli, Mondovi, Cuneo e Fos-

sano con una popolazione variabile dai 15 mila ai

20 mila individui mentre oltre 350 centri supe­

ravano i mille abitanti.

A fianco di una produzione agricola veramente

notevole, tanto che il Contarmi, ambasciatore ve­

neto poteva scrivere che di niente o di quasi il

Piemonte avrebbe avuto bisogno, stava svilup­

pandosi l’industria dei panni (Pinerolo, Chieri e

Biella), delle tele (Saluzzo), della carta (Cuneo e

Caselle), della seta (Racconigi), dei vetri (Leynì),

mentre per quanto riguarda l’industria bellica

ricorderemo la fabbricazione delle canne d'archi­

bugio a Pinerolo e delle palle di artiglieria a Cre-

vacuore che ne riforniva anche gli altri Stati ita­

liani. Aggiungeremo che in quei tempi erano attive

anche, ciò che non guasta, alcune miniere di me­

talli preziosi, oro ed argento.

La peste, questo regalo di Francia, comparve

in Piemonte verso la metà di gennaio del 1630,

prima a Torino poi a Trino, Vercelli, Pinerolo, Sa-

vigliano ed, estendendosi coi calori dell’estate come

frutto a maturazione aveva nel novembre già col­

pito oltre 200 centri. Cinquemila furono i morti

a Chieri, 600 a Cuorgnè, 700 a Dronero, 1300 a

Vercelli, diecimila nelle valli valdesi, i quattro

quinti della popolazione a Villa franca, i due terzi

a Racconigi e Pinerolo. Ad Aosta solo dodici case

rimasero immuni e quattr

r,-->rgnè, nè le cam­

pagne poterono dirsi più fortunate anche se il con­

trollo non potè essere effettuate. Si conta che com­

plessivamente trentamila furono i morti fra i civili

e dai 25 ai 30 mila fra i soldati dei vari eserciti

che la pace di Cherasco aveva fermato nel Ducato.

Naturalmente la capitale non fu esente da per­

dite poiché 8000 furono i decessi e se il numero

fu relativamente limitato lo si deve al fatto che

«... da Torino è uscita la maggior parte degli abi­

tanti, però prima che la contagione incominciasse,

solo {>er il sospetto che si ebbe che poi ha avuto

effetto con morte di infiniti... ». Ed infatti venti-

cinquemila abitanti lasciarono la città e dei rimasti

solo tremila furono i sopravvissuti, cosicché si

battè un record, non certo piacevole, con perdite

maggiori della stessa famosa peste di Milano, e

si deve all’opera veramente ammirevole del sindaco

Gian Francesco Bellezia e del Governatore Govean

poi se la città non venne veramente sterminata.

Anche le cariche dello Stato furono costrette

ad emigrare e così Asti e Villanova ospitarono gli

uffici della Camera e Savigliano, Benevagienna e

Moncalieri quelli del Senato. La Corte tentò dì

resistere al desiderio di abbandonare la città che

aveva preso tutte le classi sociali, ed infatti fino

al giugno Carlo Emanuele I ed i figli Vittorio

Amedeo, Maurizio e Tommaso si trattennero a

Torino dopo aver fatto allontanare le principesse

che si sistemarono a Chieri e poi a Cherasco, ciò

che non impedì che anche fra il personale di Corte

vi siano stati dei colpiti cosicché si sparse la di­

ceria, poi smentita, che alla peste fosse dovuta la

morte di Carlo Emanuele I avvenuta nel luglio.