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Teatro

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collana

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capolavori» Edizioni SE T

-

Torino 1951

A cura di Giacomo Oreglia

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L

I

1-704. L. 3.300

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Unire il nome di Augusto Strindberg a quelli di

Bjornsterne Bjòrnson, di Henrick Ibsen e degli

altri autori che nel secolo scorso diedero vita a

quel movimento da alcuni definito « teatro co­

smico » e che si sviluppò parallelamente al pro­

gresso sociale e storico dei paesi del Nord d'Eu­

ropa, non ci pare del tutto giusto o, almeno, pen­

siamo faccia torto al singolarissimo tempera­

mento del Poeta, che nella sua maturità si seppe

staccare da una esperienza comune per intrapren­

dere il duro cammino di una espressione nuova.

Nel primo periodo della sua fatica teatrale egli

contribuisce a creare quello stile realistico forte­

mente impregnato di polemica anche nella sua

forma dura e verista che servì a portare alla

ribalta grossi e spinosi problemi di riforma so­

ciale. È il periodo che valse allo Strindberg l’ap­

pellativo di « Zola del nord » : i suoi drammi sono

aspre critiche di costume, coraggiose accuse alla

società ottocentesca pigra, borghese, corrotta. « Il

padre », « La signorina Giulia », « Il Pellicano »,

sono le più vivaci tra le sue polemiche. Ma questo

inquisitore e riformatore ha tanti punti in co­

mune con altri autori del suo tempo, fra cui, pri­

missimo, Ibsen, che non varrebbe trattarlo sepa­

ratamente da loro.

Noi vogliamo ora occuparci del secondo Strind­

berg, di quella parte di lui che nacque nel 1898,

nel corso dei suoi 49 anni, all'indomani di una

grave crisi di coscienza che lo sconvolse al punto

di minacciare gravemente il suo equilibrio men­

tale. Il nuovo Strindberg vede all’improwiso i

limiti angusti della sua indagine spirituale e

coraggiosamente li varca per tentare l'avventura

mistica.

Del vecchio stile non rimarrà in lui che. a tratti,

la forma: il realismo del dettaglio in strano con­

trasto con la trascendenza dell’intuizione poetica.

Nella nuova arte strindberghiana troviamo il

frutto dei lunghi studi che, da un primo carat­

tere scientifico, avevano poi tratto il Poeta nel

campo dei fenomeni della vita subcosciente e delle

manifestazioni segrete dello spirito. L ’interesse

che, giovane, l’aveva portato verso la chimica, si

era trasformato, con gli anni, in morbosa attra­

zione per le scienze occulte, l’ipnotismo, la magìa,

la suggestione e i loro poteri sul subcosciente. Da

questi studi aveva dedotto teorie e convinzioni che

ora prepotentemente si insinuano nei suoi drammi

fino a soverchiare ed annullare qualunque signifi­

cato che non nasca da loro ma abbia le sue radici

in fatti razionali. Per e?

’i nozione scien­

tifica secondo la quale la suggestione esercitata

su un cervello evoluto vi fa irresistibilmente presa,

aveva fatto nascere in lui l’idea che essa fosse la

più efficace arma di una intelligenza più forte

contro una più debole, e che perciò, mediante la

suggestione, fosse possibile arrivare a commettere

un « assassinio psichico » cui poteva seguire anche

la morte fìsica: e di questa idea fa la tesi di « De­

litto e delitto ».

Nel corso delle sue ricerche — condotte allora

(sono parole sue) per pura curiosità scientifica

con lo scopo di dominare gli altri — egli aveva

scoperto Edgard Allan Poe: era stata la folgora­

zione. Profondamente turbato si era chiesto se

fosse possibile che lo spirito di un autore morto

l’anno stesso della sua nascita (1849) avesse po­

tuto trasmigrare in lui per insufflargli la fiamma

ancora viva della sua intuizione. Dalla lettura di

Poe e dagli studi approfonditi nel Centro di Oc­

cultismo e Magìa di Parigi, si era formata nella

sua mente smaniosa di nuove verità la certezza

che l’uomo conduce una seconda esistenza di cui

le immaginazioni, le fantasie, i sogni costituiscono

la realtà: egli è un sonnambulo spirituale che

durante il sonno commette atti di cui, a seconda

della loro natura, nello stato di veglia sente poi la

soddisfazione o il rimorso.

Dopo le allucinate visioni di Poe. aveva scoperto

anche l’agnosticismo di Péladan, l'irrazionalità

sognante di Maeterlinck : attraverso <Seraphita »

e « Louis Lambert » di Balzac, nella lettura del

quale egli spesso riconfortò la sua solitaria esi­

stenza, gli si era rivelato Swedemborg.

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