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Ed ecco, finalmente, la crisi. Ecco « L'Inferno »,

angoscioso documento autobiografico dal quale do­

vrà scaturire la gigantesca tragedia « La via di

Damasco ». Da questa ten ibile esjterienza spiri­

tuale aggravata da avvilenti necessità materiali e

da meschini drammi coniugali. Strindberg esce

con la consaj)evolezza che l’inferno esiste e che

egli vi è passato. La sua esaltata mente di artista

non concepisce ora altra realtà all’infuori di |>en-

sieri e simboli. Con l'incognito, l’eroe de <La via

di Damasco» afferma: «Là dove prima non ve­

devo che cose e fatti, forme e colori, adesso vedo

pensieri e simboli. La vita che non era allora che

un enorme nonsenso, oggi ha un significato, e io

scopro un disegno dove non avevo visto che il

caso ». Diviene un fanatico di Swedemborg e accet­

tando come verbo evangelico le visionarie dotti ine

dello svedese, per mezzo di esse si riconcilia con la

religione. Ha inizio l’intensa fase mistica dello

Strindberg: scrive la trilogia de « La via di Da­

masco » e fra la composizione della seconda e

della terza parte della tragedia, tutta una serie di

drammi mistici: « Delitto e delitto , la trilogia

de « Le feste dell'anno ». « L ’Avvento », « Pasqua »

e « San Giovanni », « Il cigno bianco » e « Il so­

gno ». « Delitto e delitto » resta, di questi drammi,

il più significativo e definito nel suo contenuto

ideologico. Sotto un'azione apparente di terribile

e realistica intensità si svolge il tema della doppia

natura dell’uomo, si scoprono i legami segreti del­

l’animo, la loro corruzione per opera di colj>e note

o ignote, la loro redenzione attraverso il dolore.

Il Poeta non rinnoverà più l'allucinante perfezione

di « Delitto e delitto ». si lascerà prendere dalla

morbida attrazione di uno stile maeterlinckiano in

cui il suo universo perderà la lucida durezza ultra-

terrena per sfumare in termini vaghi, imbevuti di

sogno. In « Pasqua » l'arbitrato si insinua nella

trama e nella psicologia dei personaggi... « quali

sono — citiamo il Jollivet — un centro trasparente

attraverso il quale passano e si irradiano delle

influenze psichiche ». Eleonora, l'angelica eroina

del dramma, conversa agevolmente }>er via tele­

patica col padre in prigione e con la sorella in

America: ha rapporti con piante e animali e sente

di potersi addossare il fardello del Redentore per

liberare il mondo dal male. Ma una cosi straordi­

naria creatura non modifica con la sua presenza

il susseguirsi degli avvenimenti: il dramma si

svolge intorno a lei e malgrado lei: e questa con­

dizione finisce per porla in un secondo piano un

po’ sfocato lasciando maggior rilievo ai fatti, che.

per quanto irti di simboli, non sempre convincenti,

hanno ancora qualche aderenza con la realtà con­

tingente.

Ma Strindberg si affeziona al suo disincarnato

simbolismo, lo astrae sempre più dalle forme della

vita, lo porta fra gli spettri e le visioni dell'» Av­

vento ». Non dimentichiamo però che ciò che noi

definiamo simbolo e simbolismo, nella visione del

Poeta è divenuto realtà, terribile realtà. Poco im-

|x>rta se questa realtà sconfina nella quarta dimen­

sione. se le visioni appaiono informi e mostruose

oppure sotto un as|>etto umano; nella mente di

Strindberg tutto si confonde e si unifica, l’umano

e il divino, la vita e il sogno. Nei suoi drammi

ormai tutto è fantasmagoria di esseri deformati

dal temjK) e dallo spazio, animati da una realtà

trascendente che li soggioga e li esaspera, renden­

doli ai nostri occhi spesso incomprensibili e ri­

pugnanti.

Nella terza parte de « La via di Damasco » scrit­

ta. come abbiamo detto, molto tempo dopo le prime

due. si scopre un altro aspetto della vita spirituale,

allucinante, fino a far dubitare del presente e del

suo valore vitale. Dice l’incognito: « Vi sono mo­

menti in cui dubito che la vita sia più reale dei

prodotti della mia immaginazione ». Con l’incubo

del passato, il dubbio. È il dubbio di Schopenhauer

quello al quale si accosta lo Strindberg dopo le

visioni di Swedemborg? Ma la filosofia del Poeta

passa oltre, si fa sempre più smaterializzata e in­

consistente. Nel « Sogno » si libera dagli ultimi

legami con la materia annullando ogni sensazione

di solidità e di durata.

« È — scrive lo stesso autore — un insieme di

ricordi, di avventure reali, di libere invenzioni, di

divagazioni, di improvvisazioni. I personaggi si

scindono, si raddoppiano, svaniscono e ricom­

paiono. si dissolvono e si ricostituiscono ». Ma al

di sopra di essi tutto ha una coscienza: quella del­

l'uomo che sogna, e per questa coscienza non esiste

niente di segreto nè di inconseguente: essa non

conosce nè scrujwli nè legge. Chi sogna non giu­

dica nè assolve, si contenta di riferire e, poiché il

sogno è quasi sempre doloroso, ben raramente

gaio, una nota malinconica, una pietà per tutto ciò

che vive accompagna tutte le sinuosità del suo

racconto.

Il sonno liberatore tortura spesso, ma quando

la tortura arriva al parossismo, il risveglio so­

pravviene e riconcilia l’essere sofferente con la

realtà, che per quanto dolorosa possa essere, è

tuttavia un gioioso sollievo in confronto al sogno.

Ci è permesso dubitare dell'assoluta verità di

questa dichiarazione di Strindberg, ma se in essa

vediamo, non l'astratto di una dottrina, bensì l’idea

stilizzata di un modo di essere che al tempo delle

sue esjierienze naturalistiche nemmeno sospettava

e che si formò in lui nei vuoti lasciati da una realtà

sconfessata.‘non possiamo discuterla nè criticarla.

Se, al termine del suo sforzo sublime e insensato

di superare la materia, il Poeta è caduto nell’incoe-

renza e nella disgregazione, nè l'una cosa nè l'altra

debbono offuscare ai nostri occhi e alla nostra

anima la visione suggestiva della sua Arte.

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